Omaggio a Sebastião Salgado: il progetto Genesis

Nel vasto panorama della fotografia documentaristica contemporanea, pochi nomi evocano rigore, sensibilità e impegno quanto quello di Sebastião Salgado che ci ha appena lasciati (Aimorés, Brasile, 1944 – Parigi, 2025). La sua carriera, costruita lungo decenni di reportage su scala globale, ha toccato le più complesse tematiche sociali e ambientali del nostro tempo. Come spesso avviene dietro al monumentale lavoro del grande artista si cela una visione condivisa, un’alleanza intellettuale e affettiva che ne amplifica la portata. Nel caso di Sebastião Salgado quella visione ha un nome preciso: Lélia Wanick Salgado, sua moglie.

Il culmine del suo percorso visivo, quanto meno per noi fotografi naturalisti, è senza dubbio il progetto Genesi che rappresenta un impressionante ed eccelso viaggio fotografico nelle ultime aree selvagge del pianeta riprodotte con un uso magistrale del bianco e nero. Non è solo un lavoro estetico: è un’opera-mondo, che fonde ricerca visiva, rigore tecnico e una dichiarazione etica potente. Sebbene il volto delle fotografie sia il suo, gran parte del pensiero, della struttura, della progettualità – e del coraggio – che hanno reso possibile Genesis sono frutto di un dialogo creativo con la moglie, curatrice, architetta e co-fondatrice dell’intero universo Salgado.
Genesis (2004–2011) è stato probabilmente il loro progetto più ambizioso: una dichiarazione visiva d’amore per la Terra, per ciò che resta di incontaminato, per la possibilità di un equilibrio tra umanità e natura. Un progetto che ha unito sensibilità artistica, rigore tecnico e impegno civile.


Dalla devastazione alla rinascita

Genesis affonda le radici in una crisi. Dopo anni di reportage su migrazioni, guerre e disastri umanitari, Salgado era emotivamente esausto. Fu Lélia a suggerire un ritorno alla Fazenda Bulcão, nel Minas Gerais: la terra natale di Sebastião era però ridotta a un paesaggio arido, deforestato, in rovina.

Ma dove molti avrebbero visto la fine, Lélia vide un inizio. Insieme, nel 1998 fondarono l’Instituto Terra, con l’obiettivo di riforestare l’area e restaurare l’ecosistema della Mata Atlântica. In vent’anni, oltre 2,7 milioni di alberi sono stati piantati, trasformando un deserto in una foresta viva, rigogliosa, tornata a ospitare fauna, corsi d’acqua, biodiversità.

È da questa esperienza di rinascita – tanto ecologica quanto esistenziale – che nasce l’idea di Genesis. Non un reportage, ma una celebrazione della Terra come patrimonio sacro.

Il progetto: una spedizione visiva nel tempo profondo

Sotto la direzione artistica e curatoriale di Lélia, Genesis prende forma come un lavoro enciclopedico. Strutturato in cinque sezioni – Pianeta Sud, Santuari della Natura, Africa, Spazi del Nord, Amazzonia e Pantanal – il progetto documenta oltre 30 regioni remote in cinque continenti.

In otto anni di spedizioni, Salgado ha ritratto paesaggi primordiali, popolazioni indigene e fauna selvatica con la forza plastica e spirituale di un linguaggio visivo che unisce rigore compositivo e pathos documentaristico. Il risultato: più di 200 immagini in bianco e nero che non descrivono il mondo, lo rivelano.



L’estetica e la tecnica: la forma al servizio dell’etica

Un linguaggio coerente nel cambiamento

Sotto il profilo tecnico, Genesis rappresenta la transizione di Salgado dal medio formato analogico (Pentax 645, Kodak Tri-X) al digitale (Canon EOS-1Ds Mark III). Ma il passaggio non è tecnologico: è filosofico. La visione rimane intatta.
Lélia supervisiona ogni fase della produzione: dallo sviluppo digitale alla stampa, dall’editing curatoriale all’allestimento espositivo.

Simulare l’imperfetta bellezza dell’analogico

Per ricreare la grana organica della pellicola, il team Salgado sviluppa con DuPont un processo ibrido che restituisce la texture analogica su file digitali. Le stampe – spesso al platino su carta Arches Aquarelle – privilegiano tenuta tonale, morbidezza, e profondità.

Composizione e visione

Salgado scatta con diaframmi chiusi, cercando la profondità assoluta. Lélia, nel montaggio, lavora perché la sequenza narrativa delle immagini non sia solo coerente, ma poetica. Il bianco e nero accentua forme, texture e luce, eliminando ogni elemento superfluo. Il mondo diventa segno e sostanza.


Lélia: regista invisibile di una visione globale

Parlare di Genesis senza riconoscere il ruolo di Lélia Wanick Salgado sarebbe come analizzare un film ignorando il lavoro del regista.
Lélia è stata la mente architettonica di tutte le grandi retrospettive di Sebastião – da Workers a Exodus, fino a Genesis – e ha trasformato immagini isolate in corpi narrativi coerenti, in spazi di riflessione visiva.
È grazie alla sua visione curatoriale se Genesis è stato pubblicato da Taschen, esposto in musei di tutto il mondo e reso fruibile non come archivio di immagini, ma come esperienza immersiva.


Eredità e lezione

Genesis non è una raccolta di fotografie, ma un manifesto etico e visuale. È la dimostrazione che tecnica e cuore, precisione e passione, scatto e sguardo possono – se uniti da un’intenzione profonda – restituire un’immagine del mondo capace di trasformare chi guarda.

Per ogni fotografo, Genesis è una sfida: all’equilibrio tra forma e contenuto, tra estetica e significato. E anche un invito: a collaborare, condividere visioni, riconoscere che dietro ogni grande opera non c’è solo l’occhio del fotografo, ma anche la mente – e il cuore – di chi costruisce il suo sguardo.

Nel nostro cammino verso il futuro non stiamo forse lasciando indietro gran parte del genere umano?


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